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EVITA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 gennaio 1997
 
di Alan Parker, con Madonna, Antonio Banderas, Jonathan Pryce (Stati Uniti, 1996)
 
Prima ci fu Eva Duarte, quindi Eva Peron, infine Evita.

Signora della speranza, Bandiera degli umili, Madre degli innocenti. La Madonna: ma, prima,

la ragazzina venuta dai poveri, l'adolescente consapevole di doversi emancipare (o concedersi ad ogni costo: questione - come tutto in questa faccenda - di punti di vista) per sottrarsi alla propria condizione. L'attrice, la musa dei descamisados, la stella politica, la moglie di Juan Peron. Che allo slogan degli inizi, "Dio è argentino", aggiungeva ormai "ed è per questo che ci ha inviato Peron". Continuatrice, consacratrice di quella "argentinità" che, dopo aver studiato da vicino Mussolini, il colonnello aveva fatto sua. Della mistica nazional-populistica: che, dopo aver aperto la via politica al popolo, agli operai, ai contadini, al ceto impiegatizio fino ad allora emarginati in un paese largamente dominato dagli interessi stranieri, degenerava nell'operetta sempre più tragica e meno comica, nel culto più esasperato della personalità, nella violenta negazione di ogni elementare libertà democratiche. In quel fascismo che lasciava, alla scomparsa di Juan Peron, un paese in preda ad una squallida deriva, destinata a durare nel tempo.

Evita allora, per volontà sua, o per l'accorata quanto avida furbizia del marito, la Santa. Che mutava il destino crudele di una morte per leucemia all'età cristica dei 33 anni in una messa in scena necrofila, una teatralizzazione divenuta leggendaria. Dal perfido annuncio sul palco all'interessata - per dissuaderla ad accettare la vicepresidenza - della scadenza mortale, al seguito di cerimonie degli addii dal balcone della Casa Rosada, all'agonia dagli infiniti proclami testamentari. Ai riti, mostruosamente strumentalizzati, dell'imbalsamatura, seguita da un grottesco viaggio di andata a ritorno della salma a Milano, l'imposizione di una canonizzazione laica, il lutto nazionale di un mese, l'esposizione dei ritratti in ogni luogo pubblico e di lavoro, il porto obbligatorio della cravatta nera, i tre minuti di silenzio, ogni pomeriggio, all'ora nella quale Evita era scomparsa...

Angelico o demoniaco, il mito di Evita, e di riflesso il personaggio abnorme del dittatore argentino, parevano fatti apposta per diventare preda dello Spettacolo. Eppure, dalla morte avvenuta nel 1952 si deve attendere il 1978 perché Broadway consacri il tutto in una delle grandi e più fortunate commedie musicali: EVITA, dal romanzo e sui testi di Tim Rice, la musica (celeberrima, specie nel motivo conduttore di DON'T CRY FOR ME ARGENTINA) di Andrew Lloyd Webber. E da allora, ancora quasi 20 anni perché il musical diventi EVITA, il film-opera (completamente, ed in questo senso coraggiosamente direi, cantato) diretto da Alan Parker, interpretato da Madonna, sceneggiato da Oliver Stone. Come dire: governato, proprio come il soggetto al quale s'ispira, dal sentimento dell'ambiguità

Se EVITA, il film, è in definitiva riuscito, è proprio grazie a questa sua coerenza; al filo sottile di contraddizioni che fonde le sue varie componenti. La musica di Webber è indubbiamente accattivante. Proprio perché di compromesso tra la grande tradizione del musical americano, ed il rock. Madonna non sarà mai una grande cantante: ma la sua aderenza alla parte (non stiamo tanto a vedere se per l'ambizione che ne determina la presenza in scena, la spregiudicatezza ed il desiderio più o meno strumentale di redenzione) la sua ambiguità, appunto, ne fanno un'Evita impareggiabile. Alan Parker (MIDNIGHT EXPRESS, BIRDY, THE WALL) è il regista sopravvalutato dell'iperbole espressiva e della provocazione quasi grossolana: ma, a partire dall'ottimo THE COMMITMENTS, si è scoperto una vena lirica, realista e politica, proprio nella resa di atmosfere musicali. E, non da ultimo, Oliver Stone: cineasta dall'impegno che lo porta spesso sopra le righe, dagli eccessi che la passione non sempre giustificano. Ma EVITA deve tutto alla generosità dell'autore di NATURAL BORN KILLER. All'energia formidabile di una sceneggiatura che conferisce nerbo e significato ad un film altrimenti grandiloquente e disordinato.

Nato nell'ambiguità di un soggetto che altri giudicheranno meglio di chi scrive, alimentato dalla medesima indefinizione di abili creatori che sull'arte del compromesso hanno fondato la loro carriera, per uno di quei paradossi che fortunatamente assistono la creazione artistica, o la speculazione dello spettacolo, EVITA s'impone allora di vita propria. E si lascia seguire come itinerario biografico, psicologico, finanche critico e politico. Certo, vago e discutibile: ma non proprio a somiglianza del soggetto rappresentato?

Musiche pure ridondanti, messe in scena altrimenti accademiche, accostamenti di montaggio ripetitivi, interpretazione tipate (adeguate, come quella melliflua di Jonathan Pryce nei panni del dittatore; più convenzionale, quella di Antonio Banderas nel ruolo di coro commentatore) trovano cosi una loro logica.

Il seducente amalgama di un film che toccherà un buon numero di spettatori; senza mancare di esasperarne una minoranza. Proprio come si addice ad un film sull'ambiguità...


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